venerdì 19 novembre 2010

Bolla 20

... Cifra tonda...post molto deprimente...

Non che non abbia argomenti di interesse generale di cui parlare, ma, al momento, pensare al pizello riattaccato alla statua di Berlusconi mentre Pompei crolla o dell'assenza di una sinistra costruttiva e in grado di reggere un dialogo quantomeno "reale" con la popolazione mentre combatto contro il precariato francamente non mi va.
Non me la sento neppure di essere felice perché finalmente Raitre è ritornata alla grande (benché abbia voglia di ringraziare di cuore) perché ho paura che questo momento duri troppo poco, che mi facciano fuori Saviano in diretta e abbattano Milena Gabanelli alla prossima puntata di Report.
Non voglio pensare che il 5 per mille alle onlus è stato decurtato di non possiamo neppure immaginare quanto e che al TG ho sentito una Preside dire queste parole: La meritocrazia deve stare lontana dalle istituzioni.

Ecco alla fine ne ho parlato, ma cambio subito argomento.
Partiamo da una canzone di Rino Gaetano. A mano a mano.
La sensazione che mi scorre dentro in questo momento e da ieri notte è che il cerchio si sta chiudendo. Mi si chiude intorno e

o reagisco e cambio la sua forma geometrica in una figura aperta e fuggo
o resto dentro e soffoco.

Le bolle servono anche a questo, almeno le mie, a non perdere il fiato per andare avanti. Per non restare più senza fiato per affrontare le situazioni.
Ieri notte, rileggevo "La passione secondo Thérèse". Erano le due del mattino e da sola ho ridacchiato del meraviglioso Julius. Ho guardato il mio LungoBascio e sono stata meglio.

Ma il cerchio che mi stringe è stretto in questi giorni. A volte la sensazione è che piano piano da sola sono stata proprio io a stringermi la corda al collo da sola. Altre volte guardo la corda e la seguo con le dita fino ad arrivare al nodo. E la sensazione è di doverlo sciogliere. Poi qualcosa mi distrae la sensazione si alleggerisce e il nodo si stringe ancora. E la volta dopo è tutto più difficile.

Ieri notte, a guardare la luce che filtrava fra le tende, a riconoscere gli oggetti nel buio, ad ascoltare la pioggia e il respiro del LungoBascio ho desiderato di fuggire. Fuggire da questa lontananza, dall'assenza. Dall'impossibilità di cambiare realmente le cose. Ho immaginato di prendere il LungoBascio e i Perosauri. Di fuggire come i ladri. Senza dire nulla, senza rimpiangere ciò che lasciavo. Tornare nel mio monolocale da cui dominavo tutti i tetti, con le sue pareti ognuna di un colore diverso che mi faceva finalmente provare la sensazione di casa. In cui arrivare era davvero salire verso il cielo, staccarsi, dopo sei piani di scale a piedi, dalla sporcizia delle cose del mondo. Riguadagnare un punto di vista obiettivo sul mondo, vederlo per quanto è piccolo. Non averne paura. Avere il sole in viso al mattino e al pomeriggio, in estate e in inverno.

Ho immaginato di abbandonare l'albero che cresce sul muro e i geki che non sono più sul mio letto, i piatti tutti di colori diversi e le mille tazze e tazzine. Di tornare a sentirmi bella come ero allora e appassionata alle cose. Ho immaginato anche che se le cose non fossero andate così i sei piani di scale li avrei fatti con il bambino. (non scherzo, quei sei piani di scale erano un sogno da fare ogni giorno, li ho fatti anche con le stampelle, erano belli...). E vuoi mettere che divertimento sarebbe stato vivere una vita così?
Ma se non ci fosse lui non ci sarebbe potuta essere neppure l'idea di un bambino. La sensazione di averlo avuto dentro anche per così poco tempo non avrei potuto provarla senza lui. In effetti senza lui non mi sarei neppure sentita così sola.
Ed è qui il nodo.
Sono ancora annichilita dal dolore o ci siamo persi e basta?

Stanotte l'ho visto guardarmi nel buio. Ho sentito la punta delle sue dita sul viso. Non le trova le parole per parlarmi per alleviare il dolore che provo. E io so di sbagliare chiedendogliele quelle parole.
Ma se prima girandomi dalla sua parte avevo i suoi occhi dentro il cuore ora li guardo da lontano. Non mi perdo più. E non lo riesco a perdonare per averci messo a rischio così. Con le spalle al muro.

Cosa siamo diventati nel silenzio di quando stavo male?
Come è possibile che non mi abbia chiesto una volta come mi sentissi mentre mi guardava arrancare dietro di lui durante quella passeggiata alla Caffarella, sotto il sole, l'ennesima tortura.

E io mi sento ferita e imbarazzata. Mi vergogno di nuovo. Mi vergogno di nuovo di chiedere e di spiegare. Di sentirmi dire che non è vero che siamo lontani. Ma io ho fatto nuovi passi in una nuova direzione e mi rifiuto di non crescere dopo aver perso un'occasione di stabilità. Perché quel bambino poteva essere il sole attorno a cui far girare il mondo.

Ieri notte fra le righe di una Thérèse innamorata, una Thérèse di guance scavate che si colorano pensavo che con quel bambino avrei avuto, no, che comunque fosse andata una cosa di cui essere felice l'avevo fatta.

E invece non siamo stati capaci, neppure di restare vicini.

e il mio pensiero adesso è solo per le cose che hanno preceduto questo fallimento. Per altri fallimenti che si sommano. E vorrei fare tabula rasa di tutto.
Tutto.

Vorrei riprendere in mano la mia macchina per fare i ricordi. Andarmene in giro a guardare i colori e tenermeli solo per me. Non voglio condividere io ora.

Come si fa a tornare indietro. A innamorarsi di nuovo?
Ad avere di nuovo voglia di fare spazio all'altro?

Vorrei averne potuto parlare prima. Buttare in faccia a mia madre che la mia vita non era solo la mia vita.
Sto soffocando in questo circolo vizioso di pensieri fini a loro stessi. E' tutto un vorrei avrei potuto.

DEVO sciogliere il nodo. Trovare il modo per capire e per essere convinta, per sentire dentro che tutto questo mi renderà più forte. Devo tornare ad essere felice. Porcaputtana. Non sono mai stata così gonfia di rancore.

Come posso smaltirlo se mi toglie il sonno?
Me ne devo andare qui, dove ogni cosa ha sempre riacquistato la dimensione giusta per la realtà. Il quotidiano ha assunto di nuovo i contorni del passeggero, la sua giusta dimensione e il giusto contorno.

Speriamo di poterlo fare prima che tutto vada definitivamente a rotoli.
Perché da sola, senza un aiuto esterno mi sa che non ne esco.


BOLLICINA perché ho buttato tutto fuori.

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