Bonjour...
Un sondaggio di Ipr Marketing per Repubblica rivela che, a meno di tre mesi dalla chiamata alle urne, solo tre italiani su quattro (74%) sanno che ci sarà un referendum a giugno e che appena il 7 per cento conosce i quesiti. Responsabilità di questa ignoranza ovviamente è dei media che hanno deciso di parlarne il meno possibile: un muro di silenzio abbattuto in parte solo dalle incursioni nei talk show politici da parte di Antonino di Pietro, presentatore di due dei quattro quesiti referendari, e dalle provocazioni di Adriano Celentano, autore di una lettera al Corriere della Sera e di un video inviato alla trasmissione Annozero. Ovviamente a questa mancanza dei mezzi di comunicazione "tradizionali" sopperisce la rete. Di seguito abbiamo riportato i quattro quesiti referendari [1]; si tratta di quesiti abrogativi, per cui votando SI verrebbero eliminate le decisioni prese dal Governo e dal Parlamento, mentre votando NO si lascerebbe tutto com'è.
-I primi due quesiti, proposti per iniziativa civica da varie associazioni, riguardano l'abrogazione di alcune norme decise dal Governo riguardanti la gestione privata dell'acqua, in particolare le modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica e la determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all'adeguata remunerazione del capitale investito. Se vincesse il NO e le cose restassero come sono ci sarebbe il serio rischio di vedere "privatizzata" la gestione di un bene primario per la sopravvivenza, con tutti i rischi che ciò comporta in termini di costi per i consumatori e di effettiva qualità del servizio.
-Il terzo quesito, proposto dall'Italia dei Valori di Antonio Di Pietro, prevede la cancellazione di circa 70 norme contenute in provvedimenti che, con il Governo Berlusconi, prevedono il rilancio del nucleare italiano. Inutile ricordare che quelle decisioni sono state prese dal Governo ignorando completamente la consultazione referendaria del 1987 in cui gli italiani si espressero contro il ritorno delle centrale nucleari in Italia. E' interessante notare come secondo un sondaggio realizzato da Fullresearch nei giorni dell'emergenza degli impianti in Giappone (dove c'è il rischio di una nuova Chernobyl a seguito dei danni provocati dal terremoto) sette italiani su dieci sono contrari alla costruzione di centrali nucleari e, quindi, teoricamente se andassero a votare il 12 Giugno, voterebbero SI a questo quesito contro la realizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare. [2]
-Il quarto quesito, proposto ancora dall'Italia dei Valori, riguarda l'eliminazione della legge del 2010 riguardante il legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri a comparire in udienza penale. Questa legge è stata già epurata in parte dalla Consulta poiché ritenuta parzialmente incostituzionale, ma la completa cancellazione avrebbe una grande importanza politica perché, in caso di vittoria del SI, come scrive la redazione de Il Fatto Quotidiano, "il premier voluto dal popolo, che governa in nome del popolo e cerca di sfuggire alla giustizia sempre in nome del mandato popolare si ritroverebbe di fatto sfiduciato dalla maggioranza degli elettori". [3]
Com'è noto, la consultazione referendaria si svolgerà in una data diversa dalle tornate elettorali per le elezioni amministrative e gli eventuali relativi ballottaggi, ed è stato accuratamente evitata la sovrapposizione in un unico giorno, il cosiddetto election day, per decisione del Governo e del Parlamento. Secondo Dario Franceschini, il capogruppo alla Camera del Pd, "dire no all'election day significa buttare dalla finestra 300 milioni di euro in un momento di crisi economica per le famiglie e i lavoratori. [...] Il governo ha anticipato il no alla nostra richiesta di election day unicamente per impedire che il referendum sul legittimo impedimento raggiunga il quorum". [3]
Il "no" all'election day, va sottolineato, è arrivato dopo tre mozioni delle opposizioni, che chiedevano l'accorpamento del primo turno delle elezioni amministrative con i referendum. Nelle tre votazioni la maggioranza ha prevalso per un solo voto. Quello del radicale Marco Beltrandi, eletto con il Pd, che ha dichiarato: "Ho votato in dissenso dal Pd perché sono contrario al quorum e perché penso che l'election day sia un sotterfugio per aggirare la legge". [4] A parziale discolpa del Beltrandi, va detto che nel gruppo Pd erano assenti due deputati, due nell' Idv e otto in Futuro e Libertà. [4]
Ciò che sorprende di più è che, di questo referendum, non ne parli praticamente nessuno in TV.
Evidentemente il Governo e le forze di maggioranza non ne parlano avendo scelto la linea dell'astensione, legittima ma non eticamente corretta dal punto di vista dei principi della dialettica democratica: si tratta di una manovra che mira al mancato raggiungimento del quorum che invaliderebbe la consultazione referendaria (lasciando inalterati i provvedimenti del governo). Una scelta che fa leva sul tipico "menefreghismo" dell'italiano medio che preferisce un'intera giornata al mare a 5 minuti in una cabina elettorale per decidere le sorti proprie, dei suoi concittadini e forse anche dei suoi figli. L'atteggiamento della maggioranza pare dunque decisamente discutibile: si tratta di una sorta di rifiuto al confronto, tipico di chi sa che la sfida sarebbe persa, se non fosse per la decisione di abbandonare il campo della battaglia.
Sorprende però che anche le forze di opposizione si siano dimenticate, se non in rarissimi casi, di parlare apertamente del referendum, magari traendo spunto dell'emergenza nucleare giapponese: è un comportamento incomprensibile perché una larga partecipazione al referendum dimostrerebbe che gli italiani hanno a cuore le sorti del proprio paese, a differenza di quanto sembra pensare la maggioranza parlamentare, a giudicare dalla posizione astensionista.
-I primi due quesiti, proposti per iniziativa civica da varie associazioni, riguardano l'abrogazione di alcune norme decise dal Governo riguardanti la gestione privata dell'acqua, in particolare le modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica e la determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all'adeguata remunerazione del capitale investito. Se vincesse il NO e le cose restassero come sono ci sarebbe il serio rischio di vedere "privatizzata" la gestione di un bene primario per la sopravvivenza, con tutti i rischi che ciò comporta in termini di costi per i consumatori e di effettiva qualità del servizio.
-Il terzo quesito, proposto dall'Italia dei Valori di Antonio Di Pietro, prevede la cancellazione di circa 70 norme contenute in provvedimenti che, con il Governo Berlusconi, prevedono il rilancio del nucleare italiano. Inutile ricordare che quelle decisioni sono state prese dal Governo ignorando completamente la consultazione referendaria del 1987 in cui gli italiani si espressero contro il ritorno delle centrale nucleari in Italia. E' interessante notare come secondo un sondaggio realizzato da Fullresearch nei giorni dell'emergenza degli impianti in Giappone (dove c'è il rischio di una nuova Chernobyl a seguito dei danni provocati dal terremoto) sette italiani su dieci sono contrari alla costruzione di centrali nucleari e, quindi, teoricamente se andassero a votare il 12 Giugno, voterebbero SI a questo quesito contro la realizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare. [2]
-Il quarto quesito, proposto ancora dall'Italia dei Valori, riguarda l'eliminazione della legge del 2010 riguardante il legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri a comparire in udienza penale. Questa legge è stata già epurata in parte dalla Consulta poiché ritenuta parzialmente incostituzionale, ma la completa cancellazione avrebbe una grande importanza politica perché, in caso di vittoria del SI, come scrive la redazione de Il Fatto Quotidiano, "il premier voluto dal popolo, che governa in nome del popolo e cerca di sfuggire alla giustizia sempre in nome del mandato popolare si ritroverebbe di fatto sfiduciato dalla maggioranza degli elettori". [3]
Com'è noto, la consultazione referendaria si svolgerà in una data diversa dalle tornate elettorali per le elezioni amministrative e gli eventuali relativi ballottaggi, ed è stato accuratamente evitata la sovrapposizione in un unico giorno, il cosiddetto election day, per decisione del Governo e del Parlamento. Secondo Dario Franceschini, il capogruppo alla Camera del Pd, "dire no all'election day significa buttare dalla finestra 300 milioni di euro in un momento di crisi economica per le famiglie e i lavoratori. [...] Il governo ha anticipato il no alla nostra richiesta di election day unicamente per impedire che il referendum sul legittimo impedimento raggiunga il quorum". [3]
Il "no" all'election day, va sottolineato, è arrivato dopo tre mozioni delle opposizioni, che chiedevano l'accorpamento del primo turno delle elezioni amministrative con i referendum. Nelle tre votazioni la maggioranza ha prevalso per un solo voto. Quello del radicale Marco Beltrandi, eletto con il Pd, che ha dichiarato: "Ho votato in dissenso dal Pd perché sono contrario al quorum e perché penso che l'election day sia un sotterfugio per aggirare la legge". [4] A parziale discolpa del Beltrandi, va detto che nel gruppo Pd erano assenti due deputati, due nell' Idv e otto in Futuro e Libertà. [4]
Ciò che sorprende di più è che, di questo referendum, non ne parli praticamente nessuno in TV.
Evidentemente il Governo e le forze di maggioranza non ne parlano avendo scelto la linea dell'astensione, legittima ma non eticamente corretta dal punto di vista dei principi della dialettica democratica: si tratta di una manovra che mira al mancato raggiungimento del quorum che invaliderebbe la consultazione referendaria (lasciando inalterati i provvedimenti del governo). Una scelta che fa leva sul tipico "menefreghismo" dell'italiano medio che preferisce un'intera giornata al mare a 5 minuti in una cabina elettorale per decidere le sorti proprie, dei suoi concittadini e forse anche dei suoi figli. L'atteggiamento della maggioranza pare dunque decisamente discutibile: si tratta di una sorta di rifiuto al confronto, tipico di chi sa che la sfida sarebbe persa, se non fosse per la decisione di abbandonare il campo della battaglia.
Sorprende però che anche le forze di opposizione si siano dimenticate, se non in rarissimi casi, di parlare apertamente del referendum, magari traendo spunto dell'emergenza nucleare giapponese: è un comportamento incomprensibile perché una larga partecipazione al referendum dimostrerebbe che gli italiani hanno a cuore le sorti del proprio paese, a differenza di quanto sembra pensare la maggioranza parlamentare, a giudicare dalla posizione astensionista.
Il referendum è una forma di democrazia diretta, una delle rare occasioni in cui i cittadini possono direttamente partecipare alle decisioni dello Stato, senza la mediazione di "rappresentanti" che troppo frequentemente dimenticano le ragioni dei "rappresentati".
Per questo motivo il 12 Giugno 2011 dobbiamo votare: un mancato raggiungimento del quorum sarebbe un duro colpo per la nostra fragile democrazia.
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